Sessa Aurunca Sette ed. 09 febbraio 2014


di + Orazio Francesco Piazza Non si può costruire la Chiesa senza l’attiva partecipazione di tutti. Partecipazione che non si fonda su una semplice dichiarazione di disponibilità, né è frutto di iniziativa privata, ma scaturisce da quella unzione battesimale che rende ogni cristiano partecipe della missione profetica, sacerdotale e regale. L’impegno da corrispondere non è un favore gratuito, ma un dovere proporzionato ai doni di grazia ricevuti, alla propria condizione, e da adempiere in armonia con la comunità ecclesiale. L’uno per l’altro e l’uno accanto all’altro. Ogni pietra, piccola o grande che sia e nella diversità dei modi con cui può essere impiegata, solo nella coesione con le altre pietre si consolida e assume sempre più l’immagine della costruzione. Ogni elemento, però, può saldarsi strettamente all’altro attraverso la malta cementizia: lo Spirito di Cristo.  Solo in Lui, infatti, la varietà dei materiali  e la loro diversificata consistenza riescono ad armonizzarsi in un equilibrio strutturale che certamente sbalordisce. Se ogni pietra, al contrario, volesse per propria ragione determinare la  posizione e la coesione,  difficilmente potrebbe nascere una qualche costruzione. Lo Spirito, che lega i vari elementi e li armonizza, li rende forti l’uno per l’altro; ognuno gode di una reciproca stabilità. L’insieme garantisce e/o è garantito dalla forza di coesione e di condivisione di ogni singolo elemento. Questo essere in solidum non è tanto una opportunità, è un bisogno! “Le società possono moltiplicarsi, le comunicazioni possono ravvicinare i membri, ma non è possibile comunità alcuna in un mondo in cui non c’è più un prossimo e dove non rimangono che dei simili, e dei simili che non si guardano” (E. Mounier, Manifesto al servizio del personalismo comunitario, Ecumenica, Cassano 1975, 84). La solidarietà personale e comunitaria, invece, è la “determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Sollicitudo rei socialis, 38). “La responsabilità per l’altro, viene al di qua della mia libertà. Essa non mi lascia costituirmi in io penso, sostanziale come una pietra, o come un cuore di pietra, in sé e per sé. Essa arriva fino alla sostituzione all’altro, fino alla condizione – o fino all’incondizione – di ostaggio” (E. Levinas, Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano 1982, 117). Questa espressione non consente nessuna neutralità, disincanto o distacco; rimanda al segno dell’amore crocifisso, al farsi ostaggio di Cristo nelle vicende umane segnate dalla marginalità; è il partire dalla periferia dell’umano per riaffermare la dignità dei figli di Dio. L’aver cura dell’altro, non astratto ma segnato dalla dura realtà delle cose e che si presenta nella sua diversità e differenza, con cui si impara lentamente a vivere insieme, si traduce nell’aver caro testimoniato dalla responsabilità che scaturisce dall’offerta di sé crocifissa. E’ un aver caro che ci lega a scelte e a fatti concreti, a ruoli precisi, a persone che ci circondano, alla comunità in cui siamo inseriti. La responsabilità rende incarnata la solidarietà, la condivisione. Essere responsabili significa essere direttamente coinvolti, qui ed ora, in questa comunità, senza rimandi o attese; significa assumere la propria parte, il proprio ruolo, nel peso della costruzione; significa, ancora, rendere conto a Dio e ad ogni uomo del compito che ci è stato affidato. La reciproca responsabilità crea inevitabilmente una “coscienza comunitaria”, una lucida propensione verso il “noi”, in cui si attende e si esprime la pienezza e l’identità dell’uomo e dell’umanità. E’ la condizione che progressivamente sposta l’attenzione dall’Io al Tu, che spinge a riconoscere il proprio volto nel volto, spesso segnato e deturpato, dell’altro, della storia, del mondo. La responsabilità rende incarnata ed esigente la necessità di “compromettersi” nei bisogni e nelle speranze dell’uomo, di cui la Chiesa, in Cristo,  si fa voce e promessa. Essa chiama ognuno di noi a prendere posizione, a decidersi, per dare quel contributo, dono dello Spirito, che nessun altro potrebbe dare al nostro posto. In questo contesto, è ancora possibile rimanere oziosi? Volgere altrove lo sguardo o far finta di niente? * Vescovo