Sessa Aurunca Sette – edizione 05 gennaio 2014

di Valentino Simoniello Non pochi sono i documenti del magistero riguardanti la formazione del sacerdote. Il primo obiettivo a cui tende la formazione permanente di un prete è di “ravvivare il dono ricevuto”. In altre parole, la formazione permanente deve aiutare il prete a mettere sempre più al centro della propria vita la persona di Gesù capo e pastore del suo popolo. Deve aiutarlo ad aprirsi allo Spirito Santo perché plasmi la sua umanità secondo le caratteristich e dell’umanità di Gesù buon pastore e plasmi il suo ministero secondo la carità pastorale di Gesù. Questo obiettivo coincide con la tensione alla santità o, più precisamente, alla santità come è chiamato a viverla colu i che ha la vocazione al ministero ordinato. Per realizzare tale obiettivo l’impegno primo in assoluto è quello di rinnovare quotidianamente il rapporto con Gesù. È un rapporto che ha delle condizioni a cui essere fedeli: sono le condizioni di una seria cura per la vita spirituale. Mediante la formazione permanente il prete deve mettere in atto esperienze che, lungo gli anni, lo conducano a lasciarsi guidare dallo Spirito ad una comunione con Gesù sempre più coinvolgente, maturando una solida regola di vita spirituale. Se questo è da sempre il cuore della Formazione Permanente per un prete, lo è ancor di più dentro l’attuale società secolarizzata. L’impegno personale del prete deve, in questo ambito, essere sorretto dalle iniziative e dagli aiuti del presbiterio, al cui interno è necessario sostenersi reciprocamente a riscoprire e custodire le leggi e le regole della vita spirituale del prete. Un rapporto di fede autentico con Gesù dilata il cuore del prete e fa crescere in lui lo stesso cuore del buon Pastore, la stessa carità pastorale. Una seconda grande attenzione della formazione permanente sarà pertanto quella di aiutare il prete a convertirsi sempre più alla carità pastorale del Signore Gesù rispecchiando nella sua concreta umanità, “nella misura del possibile, quella perfezione umana che risplende nel Figlio di Dio fatto uomo. L’integralità della visione cristiana sull’uomo domanda che, nel continuo cammino verso quella maturità umana che deve contraddistinguere il prete, non venga mai persa di vista la globalità dell’esperienza antropologica. La Pastores dabo vobis osserva: «La maturità umana, e quella affettiva in particolare, esigono una formazione limpida e forte a una libertà che si configura come obbedienza convinta e cordiale alla «verità» del proprio essere, al «significato» del proprio esistere, ossia al «dono sincero di sé» quale via e fondamentale contenuto dell’autentica realizzazione di sé. (…) Intimamente congiunta con la formazione alla libertà responsabile è l’educazione della coscienza morale: questa, mentre sollecita dall’intimo del proprio «io» l’obbedienza alle obbligazioni morali, rivela il significato profondo di tale obbedienza, quello di essere una risposta cosciente e libera, e dunque per amore, alle richieste di Dio e del suo amore. La maturità umana del sacerdote deve includere specialmente la formazione della sua coscienza».